Santi del 27 Giugno
*Adeodato di Napoli *Arialdo di Milano *Benvenuto da Gubbio *Biagio da L'Aquila *Cirillo d'Alessandria *Davanzato da Poggibonsi *Ferdinando d'Aragona *Giovanni di Chinon *Guddene *Luisa Teresa Montaignac de Chauvance *Maggiorino di Acqui *Margherita Bays *Sansone *Tommaso Toan *Walhero *Zoilo di Cordova *Altri Santi del giorno *
*Sant'Adeodato di Napoli - Vescovo (27 Giugno)
m. 671
Sant’ Adeodato fu il 33° vescovo di Napoli. Il suo episcopato va dal 653 al 671.
Fu Sant'Adeodato a far costruire l’oratorio di Santa Restituta, la chiesa accanto al duomo di Napoli, dove fece trasferire le reliquie della Santa Martire africana da Ischia.
Verso il 670, Sant’Adeodato diede solennemente sepoltura a Santa Patrizia a Napoli.
I resti mortali del Santo vescovo napoletano sono venerati nell’abbazia di Montevergine (AV).
Insieme a San Costanzo vescovo, il patrono di Capri gli è dedicato un altare della cripta della celebre abbazia.
La festa del santo ricorre il 27 giugno.
(Autore: Francesco Roccia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Adeodato di Napoli, pregate per noi.
*Sant'Arialdo di Milano - Diacono e Martire (27 Giugno)
Nacque probabilmente a Cucciago, poco dopo l’anno 1000 da una famiglia di valvassori, originaria del vicino villaggio di Alzate Brianza o forse di Carimate.
Fu ordinato diacono dall’arcivescovo di Milano Guido di Velate nel 1050, facendosi ben presto apprezzare per la sua capacità oratoria e la preparazione.
Dopo la metà del XI secolo fondò insieme ad alcuni compagni tra cui Anselmo di Baggio e Landolfo Cotta un movimento contro la simonìa e per la riforma dei costumi del clero, detto dai suoi avversari pataria, termine tratto dal dialettale patée per identificare gli straccioni.
Divenuto Pontefice Anselmo di Baggio con il nome di Alessandro II, si fece più aspro il conflitto con l’arcivescovo Guido che ribellandosi alla scomunica papale ricevuta, fece scacciare Arialdo e i suoi seguaci dalla città.
Il 27 giugno 1066 Arialdo venne ucciso da alcuni avversari nel castello di Angera sul Lago Maggiore. (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Milano, Sant’Arialdo, diacono e martire, che combatté con forza gli insani costumi del clero simoniaco e depravato e per la premura verso la casa di Dio fu ucciso da due chierici tra atroci sofferenze.
Arialdo nacque a Cucciago (Como), poco dopo l'anno 1000, sembra da una famiglia di valvassori, originaria, secondo alcuni, del vicino villaggio di Alzate Brianza, secondo altri di Carimate, paese ugualmente nei dintorni di Cucciago, donde l'appellativo "da Carimate" aggiunto al nome del santo. Ben presto avviato dai genitori alla vita ecclesiastica, Arialdo fu dapprima istruito da maestri locali nelle arti del Trivio e del Quadrivio, e successivamente perfezionò i suoi studi presso scuole superiori, di tipo universitario.
Non si sa con certezza quali centri di studio egli abbia frequentato (forse anche Parigi): è certo, però, che in quel tempo venne a contatto col moto della riforma, di ispirazione cluniacense, detta poi Gregoriana, per l'impulso datovi da Gregorio VII.
Ritornato a Milano in età già matura poco prima del 1050, venne ordinato diacono dall'arcivescovo Guido da Velate (1045-1071), aggregato alla cappella arcivescovile ed incaricato dell'insegnamento delle arti liberali nella scuola per i giovani aspiranti alla vita ecclesiastica, aperta presso la cattedrale iemale di S. Maria.
Fu allora che Arialdo prese a colpire. con la sua ardente parola, non solo la simoniá ma soprattutto il grave abuso di ammettere agli ordini sacri persone già sposate e di permettere loro la continuazione della vita coniugale. L'abuso della clerogamia, definita polemicamente dai propugnatori della riforma "concubinato del clero", era così radicato nell'Italia settentrionale (probabilmente sotto l'influsso di costumanze orientali), da costituire una prassi generale, e, successivamente, negli anni più cruciali della lotta per la riforma gregoriana, esso venne difeso ufficialmente come una libertà della Chiesa ambrosiana.
Visto lo scarso successo della predicazione riformatrice fatta in mezzo al clero, Anselmo da Baggio, A., i fratelli Landolfo Cotta ed Erlembaldo ed altri, gettarono le basi di una associazione vera e propria di buoni popolani, che si impegnavano a favorire la riforma. La nuova società venne detta con disprezzo dagli avversari Pataria (dal vocabolo dialettale milanese patée adoperato per designare i venditori di cianfrusaglie usate, e sinonimo perciò di straccioni). La Pataria, oltre a quello religioso, perseguiva anche altri fini: e cioè l'indipendenza dalla tutela degli imperatori germanici e la lotta contro il feudalismo. Così si spiegano sia certe asprezze della lotta, sia anche gesti ingiusti compiuti da qualche elemento torbido che talora riusciva ad infiltrarsi anche nei movimenti migliori, per compiere vendette personali o per sfruttare situazioni a proprio vantaggio.
I seguaci della Pataria, sotto la guida di A., divenuto capo del movimento, assieme a Landolfo Cotta, dopo la nomina di Anselmo da Baggio a vescovo di Lucca (1057), fecero approvare un proclama de castitate servarlda, da far sottoscrivere a tutti i membri del clero.
Arialdo e Landolfo Cotta, scomunicati dai vescovi della provincia lombarda, ricorsero a Roma che li assolse ed inviò i suoi legati per ben due volte: alla fine del 1057, Anselmo da Lucca ed il monaco Ildebrando, nel 1059 Pier Damiani e ancora Anselmo da Lucca, i quali ottennero dall'arcivescovo Guido promessa formale d i attuare anche a Milano la riforma.
Arialdo, dal canto suo, aveva organizzato una comunità di chierici esemplari con la forma giuridica dei canonici regolari, costruendo per loro un'abitazione comune, detta "la Canonica", accanto ad una chiesa dedicata alla Vergine Maria, situata nella zona dell'attuale piazza Cavour. Profondamente imbevuto di senso liturgico, A. biasimò con una certa vivacità sia l'uso di anticipare al mattino del sabato santo le funzioni della notte santa di Pasqua, sia anche l'uso di celebrare le Litanie Minori, in quanto in contrasto con lo spirito di letizia proprio del tempo pasquale.
Nel frattempo, nel 1061 era divenuto papa, col nome di Alessandro II, Anselmo da Baggio, uno dei fondatori della Pataria, il quale aveva nominato Erlembaldo gonfaloniere di Santa Romana Chiesa. La lotta a Milano si riaccese furibonda e culminò nella festa di Pentecoste del 1066 (4 giug.), quando in Duomo l'arcivescovo Guido, pubblicamente ribellatosi alla scomunica papale, recapitatagli da Erlembaldo, si scagliò contro A. e i suoi seguaci e, sfruttando abilmente il campanilismo milanese, riuscì a farli scacciare dalla città. A. si mise in viaggio segretamente per Roma, accompagnato da Erlembaldo: fermato e tradito dai partigiani di Guido, venne condotto nel castello di Angera, dominato da Oliva, nipote dell'arcivescovo. L'empia donna fece condurre Arialdo in uno degli isolotti del Lago Maggiore, e il 27 giugno 1066, dietro suo ordine, Arialdo venne assassinato da due preti scellerati che fecero scempio del suo cadavere.
Erlembaldo in seguito riportò a Milano il corpo del suo amico e, la festa di Pentecoste del 1067, lo fece seppellire nella chiesa milanese di San Célso.
Nello stesso anno Papa Alessandro II, che a quanto pare già annoverava Arialdo tra i martiri, moderò gli eccessi di zelo dei Patarini inviando a Milano una legazione che assolse Guido dalla scomunica, avendo egli promesso di attuare la riforma.
Le reliquie di Sant’ Arialdo, trasferite nel 1099 dall'arcivescovo Anselmo da Bovisio nella chiesa di San Dionigi, accanto a quelle di Erlembaldo, e poi, nel 1528, nel Duomo, furono ritrovate e solennemente ricomposte nel 1940 dal cardinale Ildefonso Schuster.
Il culto locale di Sant’Arialdo è stato approvato con la formula "sanctus vel beatus nuncupatus dalla S. Congregazione dei Riti, con decreto del 12 luglio 1904 (approvato da Pio X il giorno successivo), e successivamente il 25 novembre dello stesso anno furono approvati l'Ufficio e la Messa propria del Santo.
(Autore: Antonio Rimoldi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Benvenuto da Gubbio (27 Giugno)
m. a Corneto nella Puglia (Capitanata) verso il 1232
Etimologia: Benvenuto = significato evidente (italiano)
Martirologio Romano: A Corneto vicino a Bovino in Puglia, Beato Benvenuto da Gubbio, religioso dell’Ordine dei Minori, che nell’umile servizio ai malati si conformò alla vita di Cristo povero.
Nobile cavaliere eugubino, Benvenuto, ricevuto nell'Ordine da s. Francesco nel 1222 in qualità di fratello laico, fu destinato al servizio dei lebbrosi negli ospedali, giungendo in questo umile e laborioso ministero alle vette della santità.
Si distinse, inoltre, per la contemplazione, per l'amore alla Eucaristia e per la pazienza nelle lunghe e gravi malattie.
Morì a Corneto nella Puglia (Capitanata) verso il 1232.
Tanto si divulgò la fama dei suoi strepitosi prodigi, registrati dagli antichi annalisti dell'Ordine, che Gregorio IX, nel 1236, diede ai vescovi di Melfi, Molfetta e Venosa l'incarico di raccogliere le informazioni per la canonizzazione.
Il processo non ebbe seguito nella Curia Romana, ma Benvenuto fu oggetto di culto in quelle diocesi e nella cittadina di Deliceto (diocesi di Bovino), dove le sue reliquie furono trasferite dopo la distruzione di Corneto, avvenuta intorno al 1243.
Nel 1697 Innocenzo XII confermò il culto ed estese all'intero Ordine francescano la festa liturgica, che viene celebrata il 27 giugno.
(Autore: Isidoro da Villapadierna – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Biagio da L'Aquila - Laico Francescano (27 Giugno)
† Ortona, Arezzo, 1441
Il Beato Biagio è un laico francescano, compagno di San Giovanni da Capistrano.
Morì ad Ortona in provincia di Arezzo nel 1441.
Fu sepolto dell’antico convento di San Francesco fuori le mura.
Nel leggendario francescano stampato a Venezia nel 1722, alla voce sul venerabile Fra Lorenzo da Villa Magna osservante, viene citato il Beato Biagio.
In quel testo parlando della chiesa dove riposa il corpo di fra Lorenzo si dice: "dove anco si trova il corpo del religiosissimo fra Biagio Aquilano, compagno carissimo di San Giovanni da Capistrano, li quel fu onorato d’ogni virtù, e bontà; mai non disse parola oziosa, e quando diceva tutto era per onor di Dio & edificazione del prossimo con una umilissima gravità"
La sia festa in suo ricordo è stata fissata il 27 giugno.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Cirillo d'Alessandria - Vescovo e Dottore della Chiesa (27 Giugno)
370-444
Nato nel 370, dal 412 al 444 guidò con coraggio la Chiesa d'Egitto, impegnandosi in particolare nella lotta per l'ortodossia, in una delle epoche più difficili nella storia della Chiesa d'Oriente.
Per la difesa dell'ortodossia, si oppose con vigore a Nestorio, che discuteva la maternità divina di Maria, e per questo sperimentò per qualche mese l'umiliazione del carcere.
Al concilio di Efeso però le tesi di Nestorio furono sconfitte, grazie soprattutto agli sforzi di Cirillo che elaborò in quell'occasione una convincente teologia dell'Incarnazione.
Il vescovo di Alessandria è anche ricordato come uno dei padri del culto mariano.
Teologo profondo, egli fu al tempo stesso un vigile pastore d'anime come dimostrano numerose sue omelie di carattere pratico.
Il culto della sua santità venne esteso a tutta la Chiesa latina sotto il pontificato di Leone XIII che gli accordò il titolo di «dottore». (Avvenire)
Etimologia: Cirillo = che ha forza, signore, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: San Cirillo, vescovo e dottore della Chiesa, che, eletto alla sede di Alessandria d’Egitto, mosso da singolare sollecitudine per l’integrità della fede cattolica, sostenne nel Concilio di Efeso i dogmi dell’unità e unicità della persona in Cristo e della e della divina maternità della Vergine Maria.
S. Cirillo, nato nel 370, dal 412 al 444, anno della morte, tenne fermamente in mano le redini della Chiesa d'Egitto, impegnandosi al tempo stesso in una delle epoche più difficili nella storia della Chiesa d'Oriente, nella lotta per l'ortodossia, in nome del papa S. Celestino.
In questa fermezza al servizio della dottrina e nel coraggio dimostrato nella difesa della verità cattolica sta la santità del battagliero vescovo di Alessandria, anche se tardivamente riconosciuta, almeno in Occidente.
Infatti, soltanto sotto il pontificato di Leone XIII il suo culto venne esteso a tutta la Chiesa latina, ed egli ebbe il titolo di "dottore".
Per la difesa dell'ortodossia, contro l'errore di Nestorio, vescovo di Costantinopoli, egli rischiò di essere mandato in esilio e per qualche mese sperimentò l'umiliazione del carcere: "Noi, - scrisse - per la fede di Cristo, siamo pronti a subire tutto: le catene, il carcere, tutti gli incomodi della vita e la stessa morte".
Al concilio di Efeso, di cui Cirillo fu un protagonista, venne sconfitto il suo avversario Nestorio, che aveva sollevato una vera tempesta in seno alla Chiesa, mettendo in discussione la divina maternità di Maria.
Titolo di gloria per il vescovo di Alessandria fu di avere elaborato in questa occasione una autentica e limpida teologia dell'Incarnazione.
"L'Emmanuele consta con certezza di due nature: di quella divina e di quella umana.
Tuttavia il Signore Gesù è uno, unico vero figlio naturale di Dio, insieme Dio e uomo; non un uomo deificato, simile a quelli che per grazia sono resi partecipi della divina natura, ma Dio vero che per la nostra salvezza apparve nella forma umana".
Di particolare interesse è la quarta delle sette omelie pronunciate durante il concilio di Efeso, il celebre “Sermo in laudem Deiparae”.
In questo importante esempio di predicazione mariana, che dà l'avvio a una ricca fioritura di letteratura in lode della Vergine, Cirillo celebra le grandezze divine della missione della Madonna, che è veramente Madre di Dio, per la parte che Ella ha avuto nella concezione e nel parto dell'umanità del Verbo fatto carne.
Controversista di classe, Cirillo riversò i fiumi della sua faconda oratoria.
Teologo dallo sguardo acuto, egli fu al tempo stesso un vigile pastore d'anime.
Infatti accanto alle trattazioni esclusivamente dottrinali abbiamo di lui 156 Omelie su S. Luca a carattere pastorale e pratico e le più note Lettere pastorali, espresse in 29 omelie pasquali.
(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Davanzato da Poggibonsi - Vescovo (27 Giugno)
+ 7 Luglio 1295
Il Beato vescovo Davanzato da Poggibonsi morì in tarda età. Si narra che sul suo sepolcro siano avvenuti vari prodigi.
Attualmente il corpo del Beato è venerato nella Chiesa di San Bartolomeo a Barberino Val d'Elsa ed è stato eletto patrono del paese.
Patronato: Barberino Val d'Elsa
Nato verso il 1200 a Poggibonsi (Siena), fu discepolo e confratello nel Terz'Ordine Francescano del Beato Lucchese dello stesso luogo.
Abbracciato lo stato ecclesiastico e ordinato sacerdote, fu parroco di Santa Lucia a Casciano, presso Barberino Val d'Elsa (Firenze), fino alla morte, avvenuta il 7 luglio 1295.
Si distinse per spirito di orazione, eroica carità verso il prossimo bisognoso e straordinario spirito di penitenza.
Il culto verso di lui, iniziatosi subito dopo la morte, non subì diminuzioni neppure con le due successive traslazioni a Barberino, prima (1655) nella chiesa di Santa Lucia, poi (1787) in quella di San Bartolomeo.
Anche oggi, oltre che nella ricorrenza annuale del 7 luglio, Davanzato è festeggiato ogni tre anni con straordinaria solennità.
Il suo culto non è stato ancora confermato.
(Autore: Riccardo Pratesi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Ferdinando d'Aragona - Vescovo di Caiazzo (27 Giugno)
Aragona, 1030 - Alvignano, 27 giugno 1082
Fernando d'Aragona, nato dal re di Navarra Sancio III e da Elvisa, contessa di Castiglia, si diede alla vita spirituale solitaria e contemplativa.
Arrivò in Italia e si fermò nei boschi nei pressi di Caiazzo la "fama di santità" che gli era attribuita spinse i fedeli di Caiazzo a elevarlo alla cattedra di Vescovo che era vacante sin dalla morte del vescovo Argisio nel anno 1070.
Mentre si trovava in pellegrinaggio nel territorio di Alvignano venne colto da forte febbre e dopo tre giorni, il 27 giugno 1082, morì.
Il suo corpo fu seppellito presso la chiesa di Santa Maria di Cubulteria.
Attualmente le sue reliquie sono custodite nella chiesa Arcipretale di San Sebastiano M. ad Alvignano.
Il suo episcopato è posto dai diversi autori in un periodo che si estende dalla metà del sec. X alla fine del XII. Senonché i vescovi documentati di quel tempo sono Urso (ca. 967), Santo Stefano (1° novembre 979 - 29 ottobre 1021), Costantino (tra il 1088 e il 25 agosto 1100), Stazio (tra il 1133 e il 1154-59), Guglielmo (tra il 1168-69 e il 12 agosto 1180).
Ciò fa nascere il sospetto che il Ferdinando, discendente da regale prosapia, che sarebbe giunto a Caiazzo dalla Spagna, non sia in realtà un vescovo, ma San Ferdinando, re di Castiglia e di León (1199-1252), venerato nella diocesi campana, dove, forse, erano state portate sue reliquie e dall'errore popolare trasformato, come in tanti altri casi si è verificato, in un vescovo locale.
É festeggiato il 27 giugno.
Ciò fa nascere il sospetto che il Ferdinando, discendente da regale prosapia, che sarebbe giunto a Caiazzo dalla Spagna, non sia in realtà un vescovo, ma San Ferdinando, re di Castiglia e di León (1199-1252), venerato nella diocesi campana, dove, forse, erano state portate sue reliquie e dall'errore popolare trasformato, come in tanti altri casi si è verificato, in un vescovo locale.
É festeggiato il 27 giugno.
(Autore: Pietro Burchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ferdinando d'Aragona, pregate per noi.
*San Giovanni di Chinon - Recluso (27 Giugno)
VI sec.
Martirologio Romano: Nel castello di Chinon nel territorio di Tours in Francia, San Giovanni, sacerdote, che, di origine britannica, volle per amore di Dio sottrarsi allo sguardo degli uomini e visse di preghiera in una piccola cella costruita davanti alla chiesa del paese.
Gregorio di Tours ha consacrato a questo recluso un breve capitolo del suo De Gloria Confessorum.
Il prete Giovanni, originario di Bretagna, abitava una cella presso la chiesa di Chinon, intorno alla quale aveva piantato dei lauri che formavano un capanno sotto cui si intratteneva a leggere e a scrivere.
Dopo la sua morte, essendosi disseccato uno dei lauri, il custode della chiesa lo tagliò per fare uno sgabello. Due anni dopo, preso dallo scrupolo di aver tagliato un albero piantato da un Santo, rimise lo sgabello in terra: nella primavera seguente esso inverdì e riprese a vivere.
Al tempo in cui San Gregorio di Tours scriveva (588) si mostrava ancora il lauro miracoloso.
Giovanni visse nel secolo VI.
Secondo la Vita San Regundis di Baudonivia, santa Radegonda sarebbe ricorsa alla preghiera e ai consigli di Giovanni allorché fuggiva Clotario e si dirigeva verso Poitiers.
La festa di San Giovanni figura al 27 giugno nel Martirologio Romano.
(Autore: Philippe Rouillard – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Santa Guddene - Martire di Cartagine (27 Giugno)
† Cartagine, 27 giugno 203
Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, Santa Guddene, martire, che, per ordine del proconsole Rufino, torturata quattro diverse volte sul cavalletto e con il supplizio delle unghie, fu poi per lungo tempo gettata in un sordido carcere e infine trafitta con la spada.
La grafia esatta del nome non è sicura: Giddina, Guddenas, Guddentes, Guddina e persino in forma maschile: Giddinus, Gaudentes. Scarse sono anche le notizie che di lei ci sono rimaste, essendo scomparsi gli Atti certamente esistiti, poiché un martirologio lionese li sunteggia, affermando che il suo martirio avvenne in Cartagine il 27 giugno 203, precisando, inoltre, il nome del proconsole che la condannò, Rufino, e specificando i tormenti da lei subiti: distorsione delle membra sull'aculeo, lacerazioni del corpo con unghie di ferro, prigionia, spada.
L'intestazione del Sermone 294 di Sant'Agostino afferma che questo discorso contro i Pelagiani fu tenuto dal Santo il 27 giugno, in occasione del natale di san Guddene. La sua memoria si trova in questa medesima data nel Geronimiano: In Africa Giddini; Adone, invece, Usuardo ed il Martirologio Romano, pur riportando il testo lionese, aggiungono la qualifica di vergine e ne spostano la celebrazione al 18 luglio.
Da queste testimonianze santa Guddene risulta dunque una martire della persecuzione di Settimio Severo, come lo erano state pochi mesi prima, nella stessa Cartagine, Perpetua e Felicita (7 marzo 203).
Interessante notare che in questa data il proconsolato d’Africa era vacante e ne esercitava le funzioni il procuratore Ilariano, mentre nel giugno vi era già il nuovo proconsole, Rufino.
(Autore: Giovanni Lucchesi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beata Luisa Teresa de Montaignac de Chauvance - Fondatrice (27 Giugno)
Le Havre, 14 maggio 1820 – Montluçon (Francia), 27 giugno 1885
Martirologio Romano: A Moulins in Francia, Beata Luisa Teresa Montaignac de Chauvance, vergine, che fondò la Pia Unione delle Oblate del Sacro Cuore di Gesù.
Luisa Teresa de Montaignac de Chauvance, nacque il 14 maggio 1820 a Le Havre in Francia da Raimondo Amato e Anna de Raffin, quinta dei loro sei figli; la famiglia era di nobili origini, imparentata con i reali di Francia e nei suoi avi ci furono numerosi Crociati e il santo abate Amabile.
Ricevé l’educazione in famiglia e poi a sette anni dalle suore “Fedeli Compagne di Gesù”. Proseguì passando al celebre pensionato “Les Oiseaux” di Parigi, dove ebbe inizio quella sua devozione al Sacro Cuore di Gesù a cui consacrò tutta la sua vita; in quella Casa nel 1833 mons. De Quelen autorizzò la celebrazione del primo mese dedicato al Sacro Cuore.
Lasciato il pensionato per motivi di salute, fu affidata dalla madre inferma alla zia Madame de Raffin, che era anche sua madrina; da lei Luisa ricevette un’educazione spirituale e dottrinale molto profonda, leggendo con passione il Vangelo e gli scritti di Santa Teresa d’Avila; a 13 anni ricevette la Prima Comunione, che costituì l’esperienza più bella della sua vita.
Visse con prudenza gli impegni di società della sua famiglia; intelligente, portata alla musica e alla pittura, coltivò comunque il desiderio di una maggiore intimità con Dio.
Nel 1837 a 17 anni ritornò a “Les Oiseaux” di Parigi, dove approfondì la sua devozione al Sacro Cuore entrando in rapporto con il gesuita Rousin, uno dei propagatori di quella devozione.
L’8 settembre 1843 pronunciò il voto di consacrazione al Sacro Cuore e seguì la zia nel suo progetto di fondare un’Associazione per diffonderne il culto; ma il 4 dicembre 1845 la zia morì improvvisamente e Luisa si trovò erede del suo progetto e anche dei suoi beni.
Seguì la famiglia che si era trasferita nel 1848 a Montluçon, qui fu nominata direttrice della locale Associazione delle “Figlie di Maria” sostenendo il peso principale del lavoro di accudire gli orfani, arredare le chiese povere, dare istruzione alle fanciulle bisognose.
Commossa soprattutto dalla miseria delle chiese rurali della regione, nel 1848 fondò l’Opera dei Tabernacoli, per aiutare il loro mantenimento; nel 1850 accolse anche alcune bambine rimaste orfane, in un locale attiguo alla casa paterna, ponendo le basi per un orfanotrofio, che nel 1852 fondò a Moulins.
Nel 1854 fondò l’Opera dell’Adorazione riparatrice; dopo il 1854 a 34 anni, fu colpita da una malattia grave alle gambe che la costrinse a stare più a letto che in piedi per sette anni, sarà una malattia che l’accompagnerà per tutta la vita, ma Luisa de Montaignac non si stancò mai dal continuare la devozione al Sacro Cuore.
Dopo vari tentativi di aggregare il suo gruppo come Terz’Ordine a delle Congregazioni votate al Sacro Cuore, alla fine su consiglio del gesuita Gautrelet (1807-1886), fondatore dell’Apostolato della Preghiera e suo direttore spirituale, Luisa Teresa diede vita nel marzo 1874 alla “Pia Unione delle Oblate del Sacro Cuore” approvata dal vescovo di Moulins; l’Istituzione era divisa in due gruppi, le “Oblate Religiose” che potevano vivere in comune e le “Oblate Secolari” che avevano per scopo le opere di carità per i bisognosi.
Nel dicembre 1875 Luisa Teresa fu nominata segretaria generale dell’Apostolato della Preghiera, diretto allora dal gesuita Enrico Ramière; pur essendo quasi immobile per la sua malattia, poté allargare le sue relazioni e seguire specie per corrispondenza le sue Oblate.
Nel 1880 le Oblate decisero di unire i due rami, le Religiose e quelle dette delle ‘Riunioni’ in unica Congregazione, eleggendo Luisa Teresa superiora generale.
Nonostante la rottura con padre Ramière, la Congregazione ottenne il 4 ottobre 1881 l’approvazione della Santa Sede. Un anno dopo Luisa fondò l’opera dei “Piccoli Samueli” per preparare i ragazzi a scegliere la vita sacerdotale o religiosa.
Purtroppo in seguito, nel 1888, quando l’Istituzione fu approvata dalla Congregazione romana, solo le Oblate religiose vennero riconosciute, le Oblate Secolari o delle ‘Riunioni’ e le Dame aggregate, vennero soppresse.
Ma la fondatrice Luisa Teresa de Montaignac non ebbe questo dispiacere, perché era morta il 27 giugno 1885 a Montluçon a 65 anni.
La causa per la sua beatificazione fu introdotta a Roma il 15 dicembre 1914 e papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata il 4 novembre 1990.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Luisa Teresa de Montaignac de Chauvance - Fondatrice, pregate per noi.
*San Maggiorino di Acqui - Vescovo (27 Giugno)
Acqui Terme (Piemonte), IV secolo
Tutte le più antiche diocesi del Piemonte venerano come santi i loro rispettivi primi vescovi. I più celebri sono sicuramente Sant’Eusebio di Vercelli e San Massimo di Torino, nonché San Gaudenzio di Novara.
É invece purtroppo completamente scomparso il culto di Sant’Eulogio di Ivrea e di Sant’Eustasio di Aosta. Accantonato per secoli, ma oggi rinvigorito è invece il proto-vescovo dell’antica Chiesa acquese San Maggiorino o Maiorano, o Malerino. Questi visse nel IV secolo e l’antica tradizione che lo vuole primo vescovo della città di Acqui Terme era attestata da una pergamena risalente all’XI secolo, prezioso cimelio del Capitolo della Cattedrale oggi scomparso.
Fortunatamente il vescovo Pedroca ne inserì una copia nel suo capolavoro “Solatia chronologica Sanctae Ecclesiae Aquensis”, le cui prime righe nella traduzione italiana suonano così: “Qui si indicano i nomi di alcuni vescovi della Chiesa di Acqui che è situata in quella parte d’Italia detta delle Alpi Cozie: Maggiorino che resse la sede vescovile per 34 anni e 8 mesi; morì il 27 giugno; sepolto a S. Pietro...”. In queste due scarne righe sono così stati espressi gli unici presunti dati storici sul santo vescovo.
Ma un’antichissima tradizione vuole Maggiorino uno dei 65 vescovi ordinati dal papa San Silvestro I nella prima metà del IV secolo e da lui inviati, in seguito al celebre Editto di Costantino a reggere nuove Chiese nella cristianità, che finalmente entro i confini dell’Impero Romano poté essere esente da persecuzioni.
Storico Coiro, secondo il quale il terzo vescovo acquese avrebbe presenziato al Sinodo di Milano del 390, si ha così ulteriore conferma della tradizione che vuole Maggiorino inviato dal Papa quale primo vescovo di Acqui Terme.
Il Pedroca volle ricordarlo “quale intrepido emulatore nel predicare la fede cattolica e cultore fedele della verità cristiana”. Similmente si pronunciò l’antico Martyrologium della Chiesa acquese: “il 27 giugno da lungo tempo si venera San Maggiorino, che altri chiamano Maliorino, vescovo della Diocesi acquese. Il suo corpo dapprima sepolto in San Pietro, l’antica cattedrale, fu da San Guido traslato nella nuova cattedrale, come risulta da antica scrittura”.
Riferì ancora il Pedroca: “Esiste presso l’Archivio vescovile una pergamena antichissima portante l’elenco dei vescovi che parteciparono al Sinodo romano del 324, presieduto da Papa Silvestro, dove si leggono i nomi di Maiorinus e Meliorinus: forse uno di quei due fu il Maggiorino (o Meliorino) di Acqui”.
Dal punto di vista storico sembra però più probabile la presenza di Maggiorino fra i 300 vescovi occidentali che parteciparono al Concilio di Milano convocato dall’imperatore Costanzo nel 355 contro Sant’Atanasio.
Nel 1628 la Congregazione dei Riti abolì il culto liturgico di San Maggiorino, ma oggi la sua memoria è nuovamente celebrata dalla diocesi di Acqui al 27 giugno, anche se in realtà non gode della popolarità di uno dei suoi successori, San Guido.
Orazione
O Dio, che hai dato alla tua Chiesa come maestro e pastore
il santo Vescovo Maggiorino,
concedi che, per sua intercessione,
essa cresca mediante il Vangelo e l’Eucaristia
e sia segno e strumento della presenza di Cristo nel mondo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Maggiorino di Acqui, pregate per noi.
*Beata Margherita Bays - Terziaria Francescana (27 Giugno)
La Pierraz, Friburgo, Svizzera, 8 settembre 1815 – Siviriez, Friburgo, 27 giugno 1879
Nata nel 1815 a La Pierraz, frazione di Siviriez, vicino Friburgo, la suora laica svizzera Margherita Bays visse da sarta, casalinga e catechista.
Esistenza semplice, non estranea al mondo: sostenne la stampa cattolica durante il Kulturkampf.
Ma l'evento che la cambiò radicalmente fu il dono delle stimmate.
Guarì anche, miracolosamente, da un cancro all'intestino l'8 dicembre 1854, proprio mentre Pio IX proclamava il dogma dell'Immacolata.
Morta nel 1878, è stata beatificata nel 1995 con due religiose elvetiche, Maria Teresa Scherer e Maria Bernarda Butler. Riposa nella chiesa di Siviriez. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel territorio di Friburgo in Svizzera, Beata Margherita Bays, vergine, che, esercitando in famiglia il mestiere di sarta, si adoperò con tutta se stessa per i molteplici bisogni del prossimo senza mai trascurare la preghiera.
Prodigiosamente si fusero in questa laica terziaria francescana, alcune caratteristiche, che sono state il distintivo di altre sante donne dell’Ottocento cattolico.
Fu in effetti una cosiddetta “monaca di casa”, come Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe (Anna Maria Gallo, Napoli 1715-1791) e le Serve di Dio Teresa e Giuseppina Comoglio (Torino, †1891 e †1899); inoltre stigmatizzata come la beata Anna Caterina Emmerick (Germania, 1774-1824) e soprattutto come Santa Gemma Galgani (Lucca, 1878-1903), laica, mistica della Passione e stigmatizzata, sua giovane contemporanea.
Margherita Bays nacque l’8 settembre 1815 a La Pierraz, paesello della parrocchia di Siviriez nel Cantone di Friburgo (Svizzera), seconda dei sette figli di Giuseppe Bays e Maria Giuseppina Morel, modesti agricoltori e buoni cristiani.
Dotata di vivacità e di un’intelligenza eccezionale, frequentò per tre-quattro anni la scuola di Chavennes-les-Forts; imparando a leggere e scrivere; sin da bambina dimostrò particolare inclinazione alla preghiera, per cui smetteva di giocare con le compagne e si ritirava nel silenzio dell’orazione.
Ad otto anni ricevé la Cresima ed a 11 anni fu ammessa alla Prima Comunione nella parrocchia di Siviriez. Verso i 15 anni fece un periodo di apprendistato come sarta, mestiere che esercitò per tutta la vita sia a domicilio, sia presso famiglie del vicinato, retribuita a giornata.
Margherita scartò la possibilità, da più parti sollecitata, di diventare una religiosa, preferendo rimanere nubile e santificarsi in seno alla sua famiglia e presso la sua parrocchia, dove praticamente rimase per tutta la vita.
I tre fratelli e le tre sorelle, le erano profondamente affezionate, e lei cucendo e facendo i lavori di casa, creò con loro un’atmosfera di buon umore e di pace.
Ma dopo il matrimonio del fratello maggiore con una loro domestica, dovette sopportare l’ostilità e l’incomprensione della cognata, divenuta padrona di casa al suo posto.
All’atteggiamento scontroso e villano della cognata Josette, che fra l’altro le rimproverava il tempo passato in preghiera o a lavorare in tranquillità col cucito, mentre lei sgobbava duro nei lavori dei campi, Margherita per lunghi 15 anni oppose un silenzio e una pazienza, frutto di una carità, che suscitava l’ammirazione di quanti la circondavano.
Il suo agire servizievole e il sopportare le ingiurie ricevute, portò alla fine la cognata a riconoscere i propri torti e Margherita con grande carità cristiana, l’assistette anche sul letto di morte.
Sia nella propria casa sia in quelle dove si recava per lavoro, invitava i presenti a recitare con lei una o due poste di rosario.
Assisteva alla celebrazione della Messa ogni giorno e ciò costituiva “il sommo della sua giornata”; la domenica giorno di festa e preghiera, dopo la Messa, rimaneva in chiesa in preghiera davanti al SS. Sacramento, faceva la Via Crucis per un’ora e recitava il rosario.
Le piaceva fare a piedi lunghi e faticosi pellegrinaggi ai Santuari Mariani, sia sola che con amici; viveva costantemente nella presenza di Dio e alimentava questo sentimento con una costante preghiera.
Da laica piena di zelo, dedicò il suo tempo libero ad un apostolato attivo fra i bambini, insegnando loro il catechismo e formandoli ad una vita morale e religiosa, nel contempo preparava con sollecitudine le giovani alla
futura condizione di spose e madri.Visitava gli ammalati ed i morenti; aiutava i poveri da lei definiti “i preferiti di Dio”; introdusse nella parrocchia le opere missionarie e contribuì alla diffusione della stampa cattolica.
Nei rapporti con gli altri non tollerava la maldicenza e la calunnia, mettendo in pratica la regola d’oro: “Quando non hai visto una cosa, non devi parlarne; se l’hai vista, taci”.
A 35 anni, nel 1853, fu operata all’intestino per un cancro; sconcertata dal tipo di cure che richiedeva, supplicò la Santa Vergine di guarirla, ma di soffrire diversamente, con altri dolori che la facessero partecipare più direttamente alla Passione di Gesù.
Fu pienamente esaudita l’8 dicembre 1854, nello stesso momento che a Roma Papa Pio IX proclamava il dogma dell’Immacolata Concezione.
Ma da quel giorno la sua vita fu tutta trasformata e per sempre legata a Cristo sofferente; una ‘misteriosa malattia’ l’immobilizzava in estasi ogni venerdì alle 15 e per tutta la Settimana Santa, rivivendo nel corpo e nello spirito le sofferenze di Gesù, dal Getsemani al Calvario.
Le apparvero nel corpo le cinque stimmate della crocifissione, che le procuravano un grande dolore, ma che accortamente nascondeva ai curiosi.
Il vescovo di Friburgo, mons. Marilly, volle un consulto medico per verificare le estasi e le stimmate, che autenticò ufficialmente l’origine mistica dei fenomeni.
Negli ultimi anni della sua vita, il dolore si fece sempre più intenso, ma sopportò tutto senza un lamento, in totale abbandono alla volontà di Dio; e in questo clima compose la bellissima preghiera: “O santa vittima, chiamami a Te, è giusto. Non tenere conto della mia repulsione; che io completi nel mio corpo ciò che manca alle tue sofferenze.Abbraccio la croce, voglio morire con Te. È nella piaga del tuo Sacro Cuore che desidero esalare l’ultimo sospiro”.
Secondo il suo desiderio morì nella festa del Sacro Cuore il 27 giugno 1879; i parrocchiani di Siviriez e dintorni, all’annuncio della sua morte, dicevano fra loro: “La nostra santa è morta”.
I funerali si svolsero il 30 successivo, con la partecipazione di numerosi sacerdoti e una gran folla di fedeli; fu sepolta nel cimitero di Siviriez; in seguito fu traslata nella chiesa parrocchiale, dove riposano nella Cappella di San Giuseppe.
La fama di santità di cui godeva in vita, proseguì e si ampliò dopo la sua morte, per cui prima nel 1929 poi nel 1953 si iniziarono i processi canonici per la sua beatificazione, che dopo lungo iter, hanno portato alla proclamazione come Beata di Margherita Bays, da parte di Papa Giovanni Paolo II, il 29 ottobre 1995.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Sansone - Sacerdote (27 Giugno)
m. Costantinopoli, 530 circa
San Sansone, sacerdote, offrì ospitalità a molti poveri in Costantinopoli.
Costruì anche un ospedale, spinto dall’imperatore San Giustiniano I, che egli aveva guarito da una malattia.
Martirologio Romano:
A Costantinopoli, San Sansone, sacerdote, che fu rifugio dei poveri e si dice abbia allestito un ospedale su invito dell’imperatore Giustiniano, che egli aveva guarito da una malattia.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Tommaso Toan - Martire (27 Giugno)
Martirologio Romano: Nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, San Tommaso Toán, martire, che, catechista e responsabile della missione di Trung Linh, patì per Cristo inaudite e crudeli torture in carcere, dove morì di fame e di sete sotto l’imperatore Minh Mạng.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Walhero (Walhère) - Martire (27 Giugno)
Belga della provincia vallone di Namur, nacque nella seconda metà del secolo XII. I suoi genitori erano ricchi possidenti per cui poté studiare per diventare prete, una volta consacrato sacerdote divenne curato di Flavion, cappellano di Hastières e di Onhaye e decano rurale di Florennes.
Viene citato in documenti del 1187 e 1199, durante il suo ministero fu molto impegnato nel correggere il comportamento disdicevole dei preti della zona, in particolare di suo nipote Norberto, cappellano di Hastières.
Venne il giorno in cui si era soliti sostituire i cappellani ed i vicari, alternandoli negli incarichi e mentre attraversava la Mosa in barca, venne in diverbio con il nipote, che evidentemente aveva rimproverato ancora una volta, minacciandolo di allontanarlo dall’incarico.
Lo scontro prese una brutta piega e in preda ad una collera violenta, il nipote l’ammazzò a colpi di remo. Il corpo finì nell’acqua del fiume rimanendo a galla; alcuni contadini lo recuperarono e cercarono di trasportarlo a Bouvignes per seppellirlo, ma nonostante i loro sforzi non riuscirono a sollevarlo, il corpo alla fine fu trasportato con un carro trainato da due bianche giovenche da sole e senza guida ne difficoltà, fino ad Onhaye, qui venne tumulato.
Questo villaggio divenne meta di numerosi pellegrinaggi, il santuario locale già nel 1522 aveva sul suo sepolcro, posto all’ingresso della chiesa, una bella pietra tombale in marmo nero scolpito ad alto rilievo; nel 1860 questo santuario venne ingrandito a seguito del gran numero di pellegrini che affluivano.
Walhero è patrono della diocesi di Namur e la sua festa è celebrata il 27 giugno; Santo molto popolare e venerato, viene invocato per guarire dal mal di testa e contro le malattie del bestiame.
Sulla sua persona esiste una vasta bibliografia prevalentemente in lingua belga.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Zoilo di Cordova - Martire (27 Giugno)
Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, San Zóilo, martire.
È ancora controversa la questione del numero e dei nomi dei martiri che subirono il martirio con il famoso santo di Cordova, Zoilo. Alcuni sono giunti ad enumerarne diciannove, altri ventuno; vi sono altri, infine, che si riferiscono unicamente a Zoilo. Perciò, i riferimenti che seguono si limitano esclusivamente a lui, giacché fu il meglio studiato e quegli che ricevette il maggior culto.
Il poeta Prudenzio, trattando desìi antichi martiri di Spagna, chiama Zoilo una delle glorie della Chiesa di Cordova: «Corduba Acisclum dabit et Zoellum, tresque coronas».
Il suo nome figura al 27 giugno nel Martirologio Geronimiano, ma delle circostanze relative al martirio siamo poco informati; l'unico testo letterario giunto fino a noi, la passio, è una documentazione piuttosto artificiosa e di poco valore. Secondo quanto essa narra, Zoilo discendeva da nobile stirpe di Cordova; nel fior degli anni, durante la persecuzione saracena soffrì, prima dell'a. 590 (sic!), un crudele martirio per essere cristiano: il suo corpo fu dilaniato con ganci di ferro.
Più degna di fede è la relazione della invenzione e traslazione delle sue reliquie ad opera del vescovo Agapio. Essa è testimoniata soprattutto da tre documenti. Usuardo, dopo aver ricordato la festa di Zoilo al 27 giugno aggiunge: «Cuius corous (Zoilii) cum longo tempore ubinam sepultum fuerit latuisset, venerabili episcopo eiusdem loci, nomine Agapio, ex divina revelatione manifestatimi est».
Il calendario di Cordova, compilato nel 961 da Recemundo, reca: «In ipso est festum sancti Zoili et sepultura eius est in ecclesia vici Tiraciorum». Il 4 novembre fa menzione di una festa celebrata annualmente in Cordova in commemorazione della invenzione delle reliquie: «In ipso est Latinis festum translationis Zoili ex sepulcro eius in vico Cris ad sepulcrum ipsius in ecclesia vici Tiraciorum in Corduba».
Un testo, infine, pubblicato la prima volta nel 1938 dal de Gaiffier, accenna ai dettagli che portarono alla invenzione del corpo di Zoilo. Questo testo è stato soltanto conservato in un manoscritto, il Passionano di San Fedro di Gardena (British Museum, ms. Add. 25.600) datato al secondo quarto del sec. X. Secondo una caratteristica delle Vite dei Santi, fu trascritto in appendice di mano della fine del sec. X. Fino a quel momento la narrazione della traslazione delle reliquie di Zoilo era nota soltanto attraverso alcuni compendi, e, cioè, la notizia di Lucio Marineo Siculo, le lezioni del breviario di Burgos del 1502, Passio, Inventio, Translatio et Miracula di Rodriguez de Cerrato e il testo pubblicato da Tamayo de Salazar.
Queste testimonianze provengono tutte da una fonte comune, la relazione del Passionano di S. Pedro di Gardena. Siculo riprese la Inventio da una redazione assai simile al testo pubblicato dal de Gaiffier. La sua nota corrisponde ai paragrafi dal 2 ad 4.
Il breviario di Burgos ha attinto a una fonte che presenta assai poche varianti rispetto a quella del Siculo, ma le lezioni comprendono soltanto il paragrafo 2 e una parte del 3 del testo pubblicato dal de Gaiffier. Rodrigo de Cerrato, cui si debbono varie Vitae di Santi, ha riassunto il testo della Inventio. Il p. Villada scriveva nel 1929: «Da questo sommario esame risulta che gli Atti dei martiri prima nominati non offrono alcuna garanzia di autenticità e bisogna utilizzarli con molta cautela. La fine della narrazione può essere accettata come veritiera, purché la si spogli delle esagerazioni e inverosimiglianze...».
Vi sono soltanto pochi altri documenti che escono da questa regola. Uno di questi è l'epitome del Cerratense su Zoilo. La notizia è redatta nello stile dei martirologi e non si deve allontanare troppo dalla realtà.
Esso così dice: «Zoilo, nato a Cordova, di illustre lignaggio, fu fin da bambino educato alla religione cristiana. Confessando pubblicamente il Cristo, nella sua giovinezza, fu condotto dinanzi al prefetto che, non potendo convincerlo a sacrificare agli idoli, lo condannò alla pena capitale. Il suo corpo fu seppellito fra i gentili, nel cimitero di detta città, perché i cristiani non lo riconoscessero e lo raccogliessero».
Il riassunto del Cerratense non ha il valore che gli è stato attribuito dal p. Villada: non è altro che un riassunto della biografia posta a fronte della relazione dall'autore della Inventio. Questi, nella redazione del martirio di Zoilo, si è ispirato alla misera composizione della Passio San Zoilii. La Vita, pubblicata da Tamayo de Salazar nel suo martirologio, presenta spesso, punto per punto, il testo del Siculo. Dove trovò costui le narrazioni che cita? non lo sappiamo.
Il testo offertoci dal de Gaiffier non supera il livello ordinario delle invenzioni di reliquie. Nelle sue notizie, spesso si è spinti ad estrarre, da tanto materiale leggendario, la sostanza dei fatti. Per contestare le affermazioni del nostro agiografo, disponiamo di ben poche fonti storiche. Se dobbiamo stare a quanto dice, fu il vescovo Agapio, durante il regno del re Sisebuto, che procedette alla traslazione delle reliquie di Zoilo. Fino alla fine del sec. VI il corpo del santo rimase nel cimitero degli stranieri.
Questo cimitero, secondo il calendario di Cordova, stava in Vico Cris. Il luogo esatto del vicus non è stato però identificato, ma è chiaro che stava fuori della cinta della città. Il citato calendario di Cordova dichiara in varie occasioni che il corpo di Zoilo riposa nella basilica del Vicus Taraceorum. Questa corrisponde alla basilica parvula, dedicata al martire San Felice - sicuramente il diacono di Siviglia celebrato il giorno 2 di magg. - sostituita da un'altra nuova che prese il nome di San Zoilo.
Durante la persecuzione araba del sec. IX, vari martiri furono seppelliti nella basilica di S. Zoilo: i santi Cristoforo e Ovigildo, Paolo e Teodomiro e Teocrizia. Al termine dell'anno 883, Lucidio, inviato da Alfonso III, portò a Oviedo le reliquie di questi ultimi. Nel sec. XI il corpo di Zoilo fu traslato nel monastero benedettino di Carrión de los Condes nella diocesi di Palencia.
Quivi ricevette il culto dei monaci fino alla soppressione del monastero di Mendizàbal del 1835, durante la quale il monastero, che prendeva il suo nome, fu abbandonato. Ricuperato alla fine del sec. XIX dalla Compagnia di Gesù, è divenuto oggi seminario diocesano. In un'epoca non nota, la basilica edificata dal vescovo Agapio in onore di Zoilo fu distrutta ed oggi non rimane traccia di essa. Il culto al martire cordovese, tuttavia, continuò nella sua città e si diffuse per tutta la penisola, specialmente a Toledo e Pamplona, dove fino ai giorni nostri esistono chiese dedicate alla sua memoria.
(Autore: Tomas Moral – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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